1 Zibaldone di pensieri di Giacomo Leopardi 3 [1]Palazzo bello. Cane di notte dal casolare, al passar del viandante. Era la luna nel cortile, un lato Tutto ne illuminava, e discendea Sopra il contiguo lato obliquo un raggio... Nella (dalla) maestra via s'udiva il carro Del passegger, che stritolando i sassi, Mandava un suon, cui precedea da lungi Il tintinnìo de' mobili sonagli. Onde Aviano raccontando una favoletta dice che una donna di contado piangendo un suo bambolo, minacciogli se non taceva che l'avrebbe dato mangiare a un lupo. E che un lupo che a caso di là passava, udendo dir questo alla donna credettele che dicesse vero, e messosi innanzi all'uscio di casa così stette quivi tutto quel giorno ad aspet­ tare che la donna gli portasse quella vivanda. Come poi vi stesse tutto quel tempo e la donna non se n'accorgesse e non n'avesse paura e non gli facesse motto con sasso o altro, Aviano lo saprà che lo dice. E aggiugne che il lupo non ebbe niente perchè il fanciullo s'addormentò, e quan­ do bene non l'avesse fatto non ci sarìa stato pericolo. E fatto tardi, tornato alla moglie senza preda perchè s'era baloccato ad aspettare fino a sera, disse quello che nel­ l'autore puoi vedere. (Luglio o Agosto 1817). Una Dama vecchia avendo chiesto a un giovane di leg­ gere alcuni suoi versi pieni di parole antiche, e avutili, poco dopo rendendoglieli disse che non gl'intendeva perchè quelle parole non s'usavano al tempo suo. Rispo­ se il giovane: Anzi credea che s'usassero perchè sono molto antiche. 4 Tutta la notte piove E ritornan le feste a la dimane: Fan del regno a metà Cesare e Giove. Dal niente in letteratura si passa al mezzo e al vero, quindi al raffinamento: da questo non c'è esempio che si sia tornato al vero. Greci e latini italiani. Lo squisito gu­ sto del volgo de' letterati non può essere se non quando ei non è ancora corrotto. P.E. i cinquecentisti volgari non peccavano d'altro che di poco, non di troppo, e però era­ no attissimi a giudicar bene del molto, o sia del vero bel­ lo, come faceano. Il trecento fu il principio della nostra letteratura, non già il colmo, imperocchè non ebbe se non tre scrittori grandi: il quattrocento non fu corruzione nè [2]raffinamento del trecento, ma un sonno della lettera­ tura (che avea dato luogo all'erudizione) la quale restava ancora incorrotta e peccava ancora più tosto di poco. Poliziano, Pulci. Il cinquecento fu vera continuazione del trecento e il colmo della nostra letteratura. Di poi venne il raffinamento del seicento, che nel settecento s'è sola­ mente mutato in corruzione d'altra specie, ma il buon gusto nel volgo dei letterati non è tornato più, nè tornerà secondo me, perchè dal niente si può passare al buono, ma dal troppo buono o sia dal corrotto stimo che non si possa. Non il Bello ma il Vero o sia l'imitazione della Natura qualunque, si è l'oggetto delle Belle arti. Se fosse il Bello, piacerebbe più quello che fosse più bello e così si an­ drebbe alla perfezion metafisica, la quale in vece di pia­ cere fa stomaco nelle arti. Non vale il dire che è il solo bello dentro i limiti della natura, perchè questo stesso mostra che è l'imitazione della natura dunque che fa il diletto delle belle arti, imperocchè se fosse il bello per se, 5 vedesi che dovrebbe come ho detto più piacere il mag­ gior bello, e così più piacere la descrizione di un bel mon­ do ideale che del nostro. E che non sia il solo bello natu­ rale lo scopo delle Belle Arti vedesi in tutti i poeti spe­ cialmente in Omero, perchè se questo fosse, avrebbe do­ vuto ogni gran poeta cercare il più gran bello naturale che si potesse, dove Omero ha fatto Achille infinitamen­ te men bello di quello che potea farlo, e così gli Dei ec. e sarebbe maggior poeta Anacreonte che Omero ec. e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec. Passioni morti tempeste ec. piacciono egregiamente benchè sian brutte per questo solo che son bene imitate, e se è vero quel che dice il Parini nella Oraz. della poesia, perchè l'uomo niente tanto odia quanto la noia, e però gli piace di veder qualche novità ancorchè brutta. Tragedia. Commedia. Satira han per oggetto il brutto ed è una mera quistion di nome il contrastar se questa sia poesia. Basta che tutti la intendono per poesia Aristotele e Orazio sin­ golarmente e che io dicendo poesia intendo anche questi generi. V. Dati Pittori ed. Siena 1795. p.57.66. Il brutto come tutto il resto deve star nel suo luogo: e nell'Epica e lirica avrà luogo più di raro ma spessissimo nella Commedia Tragedia Satira ed è quistion di parole ec. come sopra. Il vile di raro si dee descrivere perchè di raro può star nel suo luogo nella poesia (eccetto nelle Satire Commedie e poesia bernesca) non perchè non possa essere oggetto della poesia. Ancora potendo esser molti generi di una cosa e questi qual più qual meno degno, [3]niente vieta che dei diversi generi di poesia altro ab­ bia per oggetto più particolarmente il bello altro il dolo­ roso altro anche il brutto e il vile, e però qual sia più nobile e degno qual meno e non per tanto tutti sieno ge­ neri di poesia, nè ci sia oggetto di veruno di essi che non possa essere oggetto della poesia e delle arti imitative ec. 6 La perfezione di un'opera di Belle Arti non si misura dal più Bello ma dalla più perfetta imitazione della natu­ ra. Ora se è vero che la perfezione delle cose in sostanza consiste nel perfetto conseguimento del loro oggetto, quale sarà l'oggetto delle Belle Arti? L'utile non è il fine della poesia benchè questa possa giovare. E può anche il poeta mirare espressamente al­ l'utile o ottenerlo (come forse avrà fatto Omero) senza che però l'utile sia il fine della poesia, come può l'agricol­ tore servirsi della scure a segar biade o altro senza che il segare sia il fine della scure. La poesia può esser utile indirettamente, come la scure può segare, ma l'utile non è il suo fine naturale, senza il quale essa non possa stare, come non può senza il dilettevole, imperocchè il dilettare è l'ufficio naturale della poesia. Sentìa del canto risuonar le valli D'agricoltori ec. Più ci diletterebbe una pianta o un animale veduto nel vero che dipinto o in altro modo imitato, perchè non è possibile che nella imitazione non resti niente a desidera­ re. Ma il contrario manifestamente avviene: da che appa­ risce che il fonte del diletto nelle arti non è il bello, ma l'imitazione. Il quattrocento restò dal fare, ma conservava l'idea del bello incorrotta; però benchè non facesse, pure apprez­ zava il fatto anzi lo cercava: quindi l'infinito studio de' Classici e l'erudizione dominante nel secolo. Il cinque­ cento col capitale acquistato nel 400 e coll'istradamento del 300 tornò a fare. Ma il seicento perchè era non debo­ le ma corrotto, non solamente non sapea far bene, ma disprezzava il ben fatto anzi gli dispiacea. Quindi la di­ menticanza di Dante del Petrarca ec. che non si stampa­ 7 vano più. Nel principio del settecento ripigliammo non le forze, ma solo il buon gusto e l'amore degli studi clas­ sici, e la prima metà di questo secolo somiglia però al quattrocento, nè si fa molto conto di quest'epoca di ri­ sorgimento perchè non produsse (come il 400) nessun lavoro d'arte fuorchè la Merope, e durò tanto poco che un uomo stesso potè aver veduto il tempo di corruzione il risorgimento e il ricadimento. Ricadute le nostre lettere (nella imitazione e studio degli stranieri) son comparsi nella seconda metà del 700 e principio dell'800 i nostri [4]ultimi lavori d'arte. Questi sono di quegli scrittori che nella corruzione si conservano illesi, non possono essere stimati da molti ec. Ma adesso l'arte è venuta in un incre­ dibile accrescimento, tutto è arte e poi arte, non c'è più quasi niente di spontaneo, la stessa spontaneità si cerca a tutto potere ma con uno studio infinito senza il quale non si può avere, e senza il quale a gran pezza l'aveano (spezialmente nella lingua) Dante il Petrarca l'Ariosto ec. e tutti i bravi trecentisti e cinquecentisti. Questo avviene perchè ora si viene da un tempo corrotto (oltrechè si sta pure tra' corrotti) e bisogna porre il più grande studio per evitare la corruzione, principalmente quella del tem­ po la quale prima che abbiamo pensato a guardarcene s'è impadronita di noi, e poi quella dei tempi passati, perchè adesso conosciamo tutti i vizi delle arti e ce ne vogliamo guardare, e non siamo più semplici come erano i greci e i latini e i trecentisti e i cinquecentisti perchè siamo passati pel tempo di corruzione e siamo divenuti astuti nell'arte, e schiviamo i vizi con questa astuzia e coll'arte non colla natura come faceano gli antichi i quali senza saperne più che tanto pure perchè l'arte era in sul principio e non ancora corrotta non gli schivavano ma non ci cadevano. Erano come fanciulli che non conoscono i vizi, noi siamo come vecchi che li conosciamo ma pel senno e l'esperien­ za gli schiviamo. E però abbiamo moltissimo più senno e arte che gli antichi, i quali per questo cadevano in infiniti 8 difetti (non conoscendoli) in cui adesso non cadrebbe uno scolaro. Vizi d'Omero concetti del Petrarca, grossezze di Dante, seicentisterie dell'Ariosto del Tasso del Caro tra­ duzione dell'Eneide ec. E però adesso le nostre opere grandi (pochissime perchè ancora siamo nella corruzio­ ne onde pochissimi emergono) saranno tutte senza difet­ ti, perfettissime, ma in somma non più originali, non avre­ mo più Omero Dante l'Ariosto. Esempio manifesto del Parini Alfieri Monti ec. Onde apparisce quel che io diso­ pra ho detto che dopo che le arti di fanciulle e incorrotte si son fatte mature e corrotte, (come gli uomini di mezza età viziosi) invecchiando e ravvedendosi, non potranno più ripigliare il vigore della fanciullezza e giovinezza. Le arti presso i Greci e i latini corrotte una volta non risorse­ ro più presso noi van risorgendo: primo esempio finora al mondo, dal quale solo si possono cavare le prove prati­ che della mia sentenza. Se non che i poeti e altri scrittori grandi d'oggi stanno in certo modo agli antichi del 300 e 500 come i greci dei secoli d'Augusto e degli imperatori, p.e. Dionigi Alicarnasseo, Dione, Arriano ad Erodoto Tucidide Senofonte: ma questi eran passati per un'età e si trovavano ancora in un'età più tosto di debolezza che di corruzione. [5]Come i fanciulli e i giovinetti benchè di buona indo­ le pure per la malizia naturale, di quando in quando scap­ pano in qualche difetto e non per tanto sono differentis­ simi dagli uomini grandi e cattivi, così gli antichi senza conoscere nè amare i vizi delle arti, per la naturale ten­ denza dell'ingegno alla ricercatezza e cose tali di quando in quando vi cadeano non riflettendo che fossero vizi, e non per tanto infinitamente differivano dagli adulti arte­ fici del 600 e 700 radicati nella corruzione. E adesso chiun­ que, per pochissimo che abbia studiato a prima giunta vede che quelli sono errori e che gli antichi hanno errato. P.E. chi non vede adesso che è cosa ridicola e affettatissima 9 il lamento d'Olimpia ec. nell'Ariosto, quello d'Erminia ec. nel Tasso? E pure questi grandissimi poeti perchè l'arte era giovane e senza esperienza in buona fede cascavano in questi errori, e noi perchè siamo vecchi nell'arte col nostro senno e coll'esperienza de' tempi corrotti, ce ne ridiamo e li fuggiamo. Ma questo senno e questa espe­ rienza sono la morte della poesia ec. Come però si dovrà dire che l'Ariosto per esempio avesse somma arte se ca­ deva spessissimo in difetti che il più meschino artefice d'oggidì conosce a prima vista? Non avea somma arte ma sommo ingegno, pulitissimo, ma non corrotto, e meno poi ripulito. Per guardarci dai vizi e dalla corruzione dello scrivere adesso è necessario un infinito studio e una grandissima imitazione dei Classici, molto molto maggiore di quella che agli antichi non bisognava, senza le quali cose non si può essere insigne scrittore, e colle quali non si può di­ ventar grande come i grandi imitati. Come il cocchiere fa guidando i cavalli per la china, che poco concede loro perchè troppo non gli rapiscano. Padron, se con lamenti e con rammarichi Si rimediasse a le nostre miserie, Bisognerebbe comperar le lagrime A peso d'or: ma queste tanto possono Le disgrazie scemar, quanto le prefiche Svegliare i morti con le loro istorie: Ne' guai non ci vuol pianto ma consiglio. [6]Messer tale domandato da alcuni che disputavano sopra una statua antica di Giove in terra cotta che ne sen­ tisse, rispose: Maravigliomi come non vi siate accorti che questo è un Giove in Creta: volendo dire in terra cotta, ma in sembianza, nell'isola di Creta, dove Giove fu alle­ vato. 10 Sistema di Belle Arti. Fine ­ il diletto; secondario alle volte, l'utile. ­ Oggetto o mezzo di ottenere il fine ­ l'imitazione della natura, non del bello necessariamente. ­ Cagione primaria del fine prodotto da questo oggetto o sia con questo mezzo ­ la maraviglia: forza del mirabile e desiderio di esso innato nell'uomo: tendenza a credere il mirabile: la maraviglia così è prodotta dalla imitazione del bello come da quella di qualunque altra cosa reale o verisimile: quindi il dilet­ to delle tragedie ec. prodotto non dalla cosa imitata ma dall'imitazione che fa maraviglia. ­ Cagioni secondarie e relative ai diversi oggetti imitati ­ la bellezza, la rimembranza, l'attenzione che si pone a cose che tuttogiorno si vedono senza badarci ec. ­ Cagione primi­ tiva del diletto destato dalla maraviglia ec. e però conse­ guentemente del diletto destato dalle belle arti ­ l'orrore della noia naturale all'uomo, ricerche sopra le cagioni di quest'orrore ec. ­ Cagioni dei difetti nelle belle arti ­ Spro­ porzione, sconvenevolezza, cose poste fuor di luogo, al che solo (contro l'opinione di chi pensa che provenga dall'avere le arti per oggetto il bello) si riducono i difetti della bassezza della bruttezza deformità crudeltà sporchezza tristizia tutte cose che rappresentate o impie­ gate nei loro luoghi non sono difetti giacchè piacciono e per mezzo dell'imitazione producono la maraviglia, ma sono difetti fuor di luogo p.e. in un'anacreontica l'imagine di un ciclopo, (per lo più) in un'epopea per lo più la figu­ ra di un deforme ec. Altri difetti e vizi; affettazione ec. quasi tutti si riducono alla sconvenevolezza e inverisimiglianza che proviene dallo sconvenirsi tra loro in natura quegli attributi della cosa inverisimile, onde la